Moto

Comotor Delta Sei, storia della mitica moto due tempi degli anni ’90

La Comotor Delta Sei venne realizzata da un progetto degli anni ’90 di Les Coe, un appassionato che ha reso un sogno pura realtà

Molti appassionati vecchio stampo di moto da corsa per eccellenza, le classiche 500 a due tempi, sono cresciuti con miti degli anni ’80 come la Suzuki RG 500, la Yamaha RG 500 e l’Honda NS 400 R. Uno di questi era sicuramente Les Coe, creatore della CoMotor Delta 6. Si tratta, appunto, di una due tempi a sei cilindri e con 750 Cmc. Il suo progetto ebbe inizio negli anni ’90, precisamente nel momento in cui le moto stradali vedevano il declino dal punto di vista dei due tempi. L’idea principale era quella di mettere a punto una due ruote leggera ma potente, che aggiungesse affidabilità ed esoticità tecnica ad un classico da corsa. Dopo essersi consultato con l’amico di Lotus Cars, Dave Blundell, iniziò a delineare quello che sarà stato il suo progetto.

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Comotor Delta Sei, la storia della sua costruzione

Les Coe decide di partire da una base solida come il quattro cilindri in quadrato della Suzuki RG. Assembla, per creare un sei cilindri, un un propulsore esa-cilindrico che si compone di un motore e mezzo gamma, con tre alberi motore e un basamento custom che vengono uniti assieme. Si ottiene da qui un’unità settemmezzo da circa 165 cavalli, equipaggiata con un’accensione derivante dalla Formula 1. Il circuito di raffreddamento racing con radiatore è Harrison, la pompa dell’acqua invece Swissauto.

Per quel che riguarda le marmitte, lo aiuta l’esperto Pete Gibson. Spuntano da questa mente due silenziatori sotto la sella ed un layout asimmetrico degli scarichi laterali, un po’ come nella Yamaha TZ 750 da Gran Premio.

Telaio, freni e ciclistica

Il telaio, preso dalla YZR 500, è stato modificato a dovere per permettere l’esistenza del sei cilindri. L’impianto dei freni e la ciclistica risultano ormai obsoleti, ma al tempo erano il meglio che si potesse offrire. Forcella e mono ammortizzatore sono Ohlins, mentre l’impianto frenante ha dischi AP racing e pinze a sei pistoncini. Le ruote erano marchesini e carene in fibra di carbonio. Il risultato? Una 165 cv per 160 chili. Insomma di poco sopra l’1:1, un dato raggiunto negli ultimi anni dalle più eccelse superbike.

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Mattia Di Gennaro

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