Formula 1

Formula 1, che succede al pit stop: il racconto di un meccanico – Video

Il racconto del dietro le quinte di un pit stop di Formula 1 con l’unico argentino presente nel circus, un meccanico dell’Alpha Tauri

Formula 1, che succede al pit stop: il racconto di un meccanico – Video

Nicolás Bianco è l’unico argentino al via del Mondiale 2020 di Formula 1. Trentadue anni, fa parte del team di meccanici dell’Alpha Tauri, nuovo nome della Toro Rosso, la scuderia di Faenza satellite della Red Bull.

Nato a Marcos Juárez, nella parte sud-occidentale della provincia di Cordoba, ha raccontato le sensazioni di un pit stop in Formula 1 in un’intervista a Carburando TV. “In Formula 1 si lavora duro, si lavora tanto” ha detto, “poi facciamo anche allenamento mentale a casa“.

Il momento chiave per i meccanici, durante la gara, è l’ingresso del pilota in corsia box per il pit stop. Veniamo avvisati un minuto prima. Quando mancano venti secondi, usciamo” prosegue. “Devi uscire, posizionarti. In quel momento siamo in 190-200, per ognuno esistono solo la macchina e il pilota: nient’altro”.

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Formula 1, le sensazioni di un meccanico al pit stop

Blanco si è specializzato nel cambiare la gomma posteriore destra. Ogni ruota, dice, pesa 17 chili e al momento del cambio supera i 100 gradi di temperatura. “Ovviamente abbiamo guanti speciali” commenta.

Blanco, che lavora soprattutto con Daniil Kvyat, si è abituato a dare tutto in quegli otto decimi che nella Formula 1 moderna servono a cambiare le gomme. E spesso a decidere la storia dei gran premi.

Il rosso evidentemente fa parte del suo destino. Nei primi anni, infatti, ha accompagnato uno dei più conosciuti piloti argentini, Víctor Rosso, suo conterraneo, in Fórmula Plus, TC 2000, Súper TC 2000. Proprio Rosso l’ha aiutato a continuare la sua carriera in Europa.

In un’altra intervista per il programma Estilo Aire y Dale Dale Deportivo, racconta che dopo un anno di collaborazione con la Honda nel WTCC viene invitato a un colloquio per entrare nel team Toro Rosso.Ho preso coraggio a un certo punto, e ho chiesto per quale scuderia mi avevano cercato. Mi hanno risposto che era una squadra italiana, ma non avevano macchine rosse”. Dunque, non era la Ferrari. Ma un po’ di rosso, almeno nel nome, c’era. E la felicità di entrare in F1 ha superato tutto il resto.

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Alessandro Mastroluca

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