Partiamo da una Fiat 600 per raccontare le immagini associate alle auto al Festival di Sanremo, E’ la seconda puntata della nostra serie
INDICE
Prima puntata – Rolls-Royce e un gran premio a Sanremo
Negli ultimi anni, le canzoni di Sanremo hanno proposto accenni a brand di lusso. La Rolls-Royce che dà il titolo alla canzone di Achille Lauro del 2019, in cui si parla anche di Ferrari. E in qualche modo la Lamborghini, anche se solo per la presenza nel 2020 di Elettra, nipote di Ferruccio fondatore della casa bolognese.
Elettra di secondo nome fa Miura, come uno dei modelli simbolo della Lamborghini. Un modello che ha cambiato il futuro dell’auto sportiva e della produzione del marchio. Ha iniziato una lunga tradizione di Lamborghini e battezzate con nomi ispirati alla tauromachia.
Auto che segnano il tempo, lo anticipano, lo cambiano, lo fanno rivivere o immaginare. Auto che raccontiamo in questa seconda puntata dello speciale dedicato ai motori sul palco del Festival di Sanremo.
Sono pochissimi i casi di brand nominati nelle canzoni. Una delle rare eccezioni è datata 1993, per un modello di macchina che è diventata simbolo di una stagione. E’ la Fiat Seicento, icona del boom economico. Compare nel testo di un brano nostalgico, “Come passa il tempo”, un tempo che “Che non ripassa mai /Va come una Seicento / E quei ragazzi dentro siamo noi“. I ragazzi dentro, quelli che cantano, sono Maurizio Vandelli e i componenti dei due complessi di cui era stato frontman, i Dik Dik e i Camaleonti.
Il 1993 è un anno particolare per il Festival. Nelle nuove proposte esplode Laura Pausini con quell’irresistibile ingranaggio musicale che è “La solitudine”. Tra i big trionfa Enrico Ruggeri, che lascia senza risposta il “Mistero” su cosa ci fa uscire dalla macchina e aspettare dietro ad un portone. In gara c’è anche Peppino Di Capri con “La voce delle stelle” che canta di Elvis, rock and roll, juke-box e macchine scoperte.
I due brani individuano due dei temi principali associati alle “macchine” nelle canzoni del Festival di Sanremo: l’amore e l’ottimismo per il futuro.
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Amore e futuro, le Auto al Festival di Sanremo
Sono le auto con i finestrini appannati dai discorsi sul Carnevale su cui i bambini disegnano cuori, nella “Roma spogliata” tratteggiata da un giovane Luca Barbarossa nel 1981. Sono appannate anche le macchine “in viaggio per chissà”, le macchine di “noi pianeti liberi” con i progetti un po’ di plastica”. Pensieri di Lanfranco Carnacina, quarto nelle Nuove Proposte nel 1986 con “E camminiamo”.
Anche Little Tony correva “con cento macchine” per rincorrere la fortuna: confessione in musica datata 2008 (“E non finisce qui”). Arrivò nono nell’anno del successo di Lola Ponce e Giò di Tonno con un brano scritto da Gianna Nannini, “Colpo di fulmine”.
Ma la canzone sanremese, che è quasi un genere a sé verrebbe da dire, prevede l’amore come grande tema in tutte le possibili declinazioni. “Sole giallo sole giallo per noi / Una macchina rotta e confini non hai” scandiscono nel 1974 i Middle of the Road, un gruppo scozzese che cantava in italiano. “Sole giallo” con cui gareggiarono a Sanremo era firmata per la musica da un gigante come Pino Donaggio e per le parole da Maurizio Piccoli che in quegli anni scriveva tanto per Mia Martini.
In quegli anni il Festival viene vissuto con sostanziale indifferenza. Ma fuori, i cantautori raccontano il mondo dell’auto. Lo fanno con l’immagine delle 1100, quelle che bruciano in Canzone di maggio di Fabrizio de André, quelle a cui pensa “L’operaio della Fiat” di Rino Gaetano nel 1974. L’anno dopo Paolo Conte ci riporta indietro, all’aria di rinascita del 1946 da respirare nella “Topolino amaranto“. E si andava un incanto, sognando l’amore.
L’amore in macchina è un passaggio di vita comune. “Non c’è magia” ammette nel 1982 il romantico Michele Zarrillo nella sua “Rosa blu”. Ma si fa, se c’è “qualcosa in tasca che aiuta”, come dice Leandro Barsotti alla sua “Fragolina” a cui dedica il brano del 1997.
Dalla macchina l’amore si cerca, si insegue, come i complimenti dei playboy. Fiorella Mannoia un po’ li rimpiange: “Ma non li sentiamo più se c’è chi non ce li fa più” canta nel 1987 raccontando “Quello che le donne non dicono”.
In macchina l’amore si raggiunge. Magari con un colpo di fortuna, casuale come la vita che scorre nelle parole di “Sono contento” di Alex Britti (2001). “Perché la prima volta che ti ho visto non era stato niente di speciale t’ ho accompagnato a casa e fino qui tutto è normale.
La macchina prestata da mia madre quel giorno mi serviva per lavoro invece è diventata un’occasione d’oro”.
La macchina è uno spazio dove conoscere e farsi conoscere, o almeno provarci. Il risultato non è garantito. per credere, rivolgersi a Paolo Meneguzzi che nel 2005 racconta di una ragazza e di un obiettivo mancato d’amore: “Ore in macchina a parlare sotto casa sua
si rideva si scherzava e non capiva che l’amavo“.
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La nostalgia in macchina
In macchina però non solo si va. Le macchine diventano totem di solitudine e di aspirazioni. Ce n’è sempre una ad aspettare gli artisti falliti, canta Milva nel 2007 su parole di Giorgio Faletti. Aspetta fuori, sempre mal posteggiata che non sembra davvero sia mai stata lavata”. Ma intanto, come recita il titolo, “The show must go on“.
Un’altra macchina, quella volta lussuosa, aspettava in un’altra canzone che Milva presentò al Festival di Sanremo del 1964: “Ultimo tram“. La attendeva nei sogni di provvisoria felicità che si scontravano con la realtà quando a mezzanotte partiva, appunto, l’ultimo tram.
Ma non possiamo finire qui, manca ancora un’emozione. Andiamo al 1989. Anno di grandi speranze, di dissoluzioni e rivoluzioni, di muri che cadono e blocchi che si disgregano. Anni di disimpegno, anche a Sanremo. Al Festival partecipano, in gara, Francesco Salvi con “Esatto!” che finì settima, e Gigi Sabani, penultimo con un testo di Toto Cotugno.
E’ l’anno della prima esibizione sanremese di Jovanotti, quinto con “Vasco” e mosse pelviche annesse, e di “Cosa resterà di questi anni Ottanta”. Torna Mia Martini dopo l’ostracismo con quel capolavoro assoluto che è “Almeno tu nell’universo“. Capolavoro che Bruno Lauzi scrisse negli stessi giorni in cui le regalava “Piccolo uomo”.
E’ anche l’anno della definitiva rivelazione, ancora fra gli emergenti, di Paola Turci. Il testo è tra i più duri e impegnati che abbia scritto, “Bambini”. Storie di infanzia interrotta, “in una notte di macchine“. Perché un’auto può anche diventare epifania di violenza, simbolo di paura. E non solo l’immagine di magnifiche sorti e progressive.