Lewis Hamilton, icona oltre lo Formula 1: la famiglia, la musica, i tatuaggi

Lewis Hamilton non è solo il campione che ha eguagliato i Mondiali di Schumacher. E’ un’icona pop, ha cantato con Christina Aguilera e dettato le mode

Lewis Hamilton, icona oltre lo sport: la famiglia, la musica, i tatuaggi
Lewis Hamilton, icona oltre lo sport: la famiglia, la musica, i tatuaggi

Un campione da leggenda. L’uomo dei record. Lewis Hamilton, sette volte campione del mondo, sta cambiando la storia della Formula 1. Ma non si può ridurre alle sole vittorie. E’ un’icona tanto culturale quanto sportiva. Ha lanciato una Commissione per favorire inclusione e diversità nella Formula 1 perché, ha detto al Times, “essere il primo nero a far qualcosa, in qualunque ambito, è un cammino solitario”.

Convinto ambientalista, la BBC l’ha affiancato a Cristiano Ronaldo o Michael Jordan come esempio di campione dello sport capace di superare i confini degli appassionati. Di avere una voce che ispira, che tutti ascoltano.

E’ un attivista, un’icona di stile che detta e anticipa le mode. Colleziona scarpe, che occupano due camere da letto nella sua villa, con la stessa passione con cui da piccolo cercava di non rovinarle perché non aveva soldi per comprarne un paio nuovo.

Ha anche una seconda identità, XNDA. Rappresenta il suo temperamento artistico, la passione per la musica. E’ la sigla del Lewis Hamilton cantante. Ha inciso decine di brani, collaborando anche a “Pipe” di Christina Aguilera”.

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Lewis Hamilton, valori solidi e tatuaggi

Passioni che porta tatuate sul corpo, una tela su cui stende i valori di famiglia. Resta un uomo di fede, parola che gli attraversa il petto. “Rise above it, no matter what life throws at you. And also, you know, Jesus rose from the grave”, si è fatto tatuare sulla schiena. “Aalzati, qualsiasi cosa la vita ti riservi. In fondo, anche Gesù si è alzato dalla tomba”.

Il suo esempio resta il padre, Anthony, che gli ha regalato il primo kart a Natale del 1992. Lewis aveva sei anni. E’ poco più di un pezzo d’antiquariato, almeno di terza mano, ma fa di tutto per lucidarlo e farlo sembrare nuovo.

Inizia così una strada non facile. Un percorso che, come raccontava anni fa nella prima puntata del podcast della F1, “Beyond the Grid”, gli ha dato uno scopo. L’ha portato a diventare sette volte campione del mondo, a issarsi sulle spalle dei giganti e vincere più gare di chiunque altro nella storia di questo sport. Ma gli ha anche spezzato il cuore, “perché fallire, cadere quando tutti ti guardano ti uccide”.

Ancor più se sei il primo pilota nero nella storia della Formula 1 e per questo ti guardano in modo diverso. O almeno è questo che avverti: più volte Hamilton infatti se n’è lamentato, anche in questa stagione.

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La famiglia e gli inizi: come nasce un campione

Papà Anthony, suo primo manager, ha fatto anche tre lavori per sostenerlo. Immigrato in Inghilterra da Grenada, si separa dalla moglie e cresce da solo i figli. Hamilton conosce la sofferenza e la malattia, il fratello minore Nicolas soffre di una paralisi cerebrale. Corre grazie alla spinta e alla passione di suo padre.

Nei kart si fa notare molto presto, già dalle prime gare sulla pista Rye House di Hoddeson, attaccata al centro di distribuzione della nota catena di supermercati Sainsbury. Il gestore, Martin Hines, è una leggenda britannica dei kart e intuisce subito che il giovane Lewis ha qualcosa di speciale. Lo aiuta a crescere, lo affianca per i primi cinque anni, nutre la sua ambizione: essere il migliore.

Andava anche bene a scuola, come ha ricordato il preside della sua scuola, John Seal, al Guardian nel 2007. Seal lo racconta come un ragazzino popolare, concentrato e composto. Il figlio benvoluto di una normale famiglia di lavoratori. Un ragazzo eccezionale.

Il giovane Lewis sbaraglia la concorrenza nei kart, a dieci anni è già campione del Cadet Class Karting. Alla cena di gala, in un vestito nero in taglia da bambino affittato per l’occasione, si presenta da Ron Dennis, team principal della McLaren. Gli chiede un autografo e gli svela un segreto: “Voglio correre per lei un giorno”. Passano tre anni, e Dennis lo inserisce nel programma per giovani piloti del suo team. A nessun ragazzo così giovane aveva mai concesso la stessa opportunità.

Hamilton brucia le tappe. Nel 2000 è il più giovane campione in Formula A Karting, tre anni dopo vince il titolo nella Formula Renault britannica con la Manor Motorsport di Toni Shaw. Già allora era aggressivo in pista, deciso in entrata di curva, veloce come nessun altro con le gomme nuove. Stava nascendo il working-class hero destinato a cambiare il volto della Formula 1. E non solo in pista.

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